«Mio figlio non mi mangia»

09.06.2023

«Cosa hai mangiato oggi a scuola?»

La possiamo annoverare tra le prime domande (se non l'unica!) che facciamo ai nostri figli appena li andiamo a recuperare alla scuola materna, primaria, secondaria di 1.grado.
E potremmo arrivare senza difficoltà all'Università. 

Perché diciamocelo apertamente care mamme e cari papà, avere il controllo su ciò che assimila nostro figlio o nostra figlia ci dà quella parvenza di equilibrio, quell'idea che sia tutto sotto controllo.

Adesso vi svelo una grande Verità: oltre il cibo c'è di più (tataaannnnn!)

Ma partiamo dall'inizio, dall'allattamento al seno che per Donald Winnicott rappresenta la prima forma di comunicazione in grado di condizionare le successive esperienze comunicative e relazionali nella vita dell'individuo.

Esso costituisce un'importante esperienza relazionale di base, in cui la mamma ed il neonato, oltre al nutrimento, si scambiano un vero e proprio codice affettivo e relazionale che resterà nella loro memoria per sempre.

Quando il neonato piange gli vengono offerte le prime poppate con l'intento di saziare ma anche consolare, rassicurare, coccolare. All'inizio siamo genitori smarriti, non ancora in grado di interpretare il comportamento di nostro figlio e procediamo per tentativi. Il pasto diventa così un'esperienza che unisce e rassicura tutti, consola il bambino e conforta noi genitori.

Con il passare del tempo affiniamo i nostri sensi e riusciamo a distinguere il pianto della fame da quello legato ad altre forme di bisogni e malesseri e differenziamo quindi le risposte: abbracciamo, accarezziamo, culliamo, sorridiamo. Ed è così che il bambino impara a conoscere se stesso ed a cercare conforto nel cibo se si tratta di fame, nella compagnia se si sente solo e via dicendo.

Il bambino intuisce che la sazietà o la suzione non sono soluzioni universali per qualsiasi malessere.

Da amore liquido ad amore solido

Poi cosa succede? 

Quel cibo e quel nutrimento affettivo da liquidi iniziano a diventare solidi. Non ce n'è cari genitori, tutto è nelle nostre mani perché il bambino non può certo scegliere cosa e quando mangiare.

Sta a noi perciò capire quando è il momento giusto per introdurre il cibo solido, quando arrivano i primi segnali di interesse da parte del bambino. Segnali che bisogna imparare a leggere, interpretare e soprattutto voler ascoltare. Assicuriamoci perciò che i nostri figli ci arrivino volentieri e felici, in una famiglia altrettanto serena.

Questo perché è un ricordo che si porteranno dietro per tutta la vita.

Il processo in realtà ha inizio ancora prima, con un bambino che dovrebbe stare con noi a tavola quando possibile, in braccio o nella fascia, tenuto dalla mamma o dal papà. Perché? Per il puro piacere di condividere il momento del pasto: questa è la logica conseguenza di quel processo di costruzione del legame di attaccamento e di armonizzazione del sistema-famiglia da avviare per tempo e che non si può improvvisare, come ci spiega benissimo il pediatra Lucio Piermarini, autore del libro «Io mi svezzo da solo».

I bambini a tavola osservano e fanno ben altro: esplorano, e lo fanno con tutti e cinque i sensi!

Per questo sarebbe opportuno non giudicare gli alimenti dando a questi delle accezioni come «buono», «cattivo», «bello» ma facendo ai bambini considerazioni o domande aperte sul colore, la forma, l'odore, il peso, il sapore. «Che bel rumore che fa, senti com'è croccante questa carota!»Permettiamo così ai loro sensi di aprirsi, alleniamo il loro ascolto e la capacità di meravigliarsi.

Riflettiamo su quanto è importante parlare (ed in che modo) durante i pasti

Questo non significa sentirci in dovere di insistere con «Ancora un boccone» o limitare i pasti con frasi tipo «Non puoi avere ancora fame, hai mangiato abbastanza!».

Non diamo ai nostri figli la convinzione che debba esserci sempre qualcuno a stabilire quanto si mangia, né tantomeno utilizziamo la tecnologia per distrarli. Permettiamo loro di sperimentare da soli quel limite in modo che la connessione con il proprio corpo (ed i suoi segnali) sia sempre vigile ed allenata.

Allo stesso tempo prestiamo attenzione alle parole che usiamo nei confronti del cosiddetto comfort food (un cibo al quale ricorriamo allo scopo di migliorare l'umore e che ha determinate e ben precise caratteristiche: energetico, soffice e cremoso, croccante e friabile, molto dolce o molto salato). Tema complesso e dalle tante sfaccettature, al quale preferisco dedicare un articolo completo.

Uno spazio ludico in cucina

E se un cibo proprio non lo vogliono assaggiare?

Gli alimenti hanno questo favoloso potere di trasformazione, di cambiare colore, odore e consistenza se cotti, bolliti, immersi in alcuni liquidi o a contatto con determinate sostanze.

Che magia vedere le infinite colorazioni che può assumere il cavolo rosso a contatto con aceto, sale o bicarbonato!

Una magia ed un entusiasmo che potete alimentare giocando con i vostri figli, concedendovi uno spazio ludico in cucina che alla lunga porterà i vostri figli ad avere familiarità con quell'alimento che mai e poi mai avrebbe provato prima di scoprirlo manipolandolo.

Giocare, sporcarsi, impiastricciarsi con il cibo non è tempo perso, non equivale solo a dire di aver sporcato mezza cucina e tutti i vestiti, non equivale a crescere figli maleducati che mangiano con le mani.

Assolutamente no, anzi! Incorporare con le mani equivale a fare conoscenza, assimilare prima di tutto attraverso uno stimolo sensoriale, che dalle mani si estende poi alla bocca ed infine al corpo intero.

Noi davanti ad un invitante piatto di linguine allo scoglio siamo abituati a dire che lo «Mangiamo con gli occhi!», il bambino invece parte da un altro assunto: «Mangio prima di tutto con le mani: sento, tocco, mi spalmo tutto e poi inizio ad assaggiare anche con la bocca» 

Permettiamo loro di cucinare con noi, di far cadere sul tavolo e per terra la farina, l'uovo, il riso, il pomodoro. Creiamo l'ambiente giusto, diamo loro strumenti che li possano aiutare a fare da soli.

Lo sapevate che cucinare significa fare continue esperienze con la relazione causa-effetto«Aggiungo cacao al latte e questo diventa marrone»«Unisco i lamponi rossi allo yogurt bianco e gli faccio cambiare colore!».

Il più bel regalo che abbiamo fatto a nostro figlio è stato l'acquisto di una torre montessoriana. Aveva appena un anno, si reggeva in piedi a mala pena eppure la curiosità di vedere il mondo alla nostra altezza e cucinare con noi è stata più forte della paura di cadere.                                                                     

Ogni tanto scherzando dico che ha imparato prima a fare le scale che  a camminare!

E se «mio figlio non mi mangia?»

A volte, nonostante tutto, il bambino non ne vuole proprio sapere e rifiuta il cibo. 

Prima di allarmarci e caricarci di sensi di colpa, valutiamo lo stato di benessere dei nostri figli durante tutta la giornata e non solo quando mangiano.

Avete mai sentito parlare del magico potere di autoregolazione dei bambini? E' il loro super-potere! Sanno quanto e quando mangiare e di certo non si lasceranno morire di fame. Spesso purtroppo l'ansia e la nostra paura di sentirci inadeguate ci fa perdere di vista questa loro meravigliosa capacità che rappresenta una risorsa indispensabile per l'autonomia.

Troppo spesso accade che noi madri ci convinciamo che le difficoltà alimentari di nostro figlio siano così una nostra colpa perché: «Non ho preparato in modo adeguato il cibo», «Non ho saputo proporglielo nel modo giusto» o addirittura, «Non ho saputo educarlo bene»; cosi come non è rara la situazione per cui, il rifiutare il cibo da parte del bambino, venga vissuto da noi madri come una sfida nei nostri confronti: «Quando è ora della cena non mi mangia!»  o «Mi rifiuta ciò che gli ho preparato con tanto amore» .

Tutte frasi rivolte verso se stesse che rendono quel mi così pieno di sensi di colpa, rancore e frustrazione.

Dov'è allora la risposta a tutti questi dilemmi? Come sempre, nell'osservazione dei nostri figli: sono deperiti, senza energia o tristi? In questo caso merita una telefonata al pediatra. Se però così non fosse, lasciamoli stare. Diamo loro fiducia e allentiamo per un po' la presa. 

Studiando l'argomento, leggendo e facendo un po' di ricerche, ho notato un incredibile aumento di articoli ed approfondimenti sul tema. 

Una rivista che per me è diventata una fonte di ispirazione, UPPA, ha da sempre una rubrica che si intitola Tutti a tavola! dove svariati sono gli argomenti che ruotano intorno al tema dell'alimentazione infantile. E' una certezza, l'argomento cibo lo troviamo a pagina 12 di ogni uscita bimestrale e spesso nello stesso numero troviamo anche più articoli o addirittura la rubrica speciale (ad esempio obesità infantile).

Allora cosa è cambiato rispetto a molti anni fa? Che sempre più si parla di quanto noi genitori sappiamo, studiamo, approfondiamo e conosciamo. Le riviste si rivolgono a noi come fossimo esperti del settore. Sicuramente rispetto al passato siamo più presenti dal punto di vista delle nozioni, a discapito di quello spazio creativo che è spazio di fiducia, da lasciare ai nostri figli affinché agiscano da soli, errori inclusi.

E gli altri?

Ma lo sapete che tra tutti i mammiferi, noi e gli elefanti siamo gli esseri più lenti a lasciare le cure materne per poterci buttare nel mondo, procacciandoci il cibo da soli e cavandocela con le nostre uniche forze?

L'essere umano detiene il primato con i suoi oltre 30 anni di cure (in Italia la media potrebbe essere questa!), l'elefante dopo 12 anni è pronto per andare con le sue zampe.

Non vogliamo raggiungere l'elefante, chiaramente, ma almeno mettiamo tra le priorità di genitore la possibilità di far provare, sbagliare, rialzarsi e riprovare, mettendoci alla giusta distanza dai nostri figli per osservarli senza intervenire.

Secondo me ne vale la pena.

Secondo me ci stupiranno. 


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